Marzo 1907, 1909, 1919: Camillo Golgi e il Borromeo, tra Università e Ospedale militare

Vicinanze, distanze e una guerra di mezzo

Il nome di Camillo Golgi compare più volte nelle carte d’archivio del Collegio Borromeo associate al Rettorato di Rodolfo Maiocchi e, curiosamente, passando da un marzo a un altro e soprattutto da un decennio a un altro, le carte stesse rivelano, in modo inequivocabile, come un rapporto istituzionale assolutamente impeccabile si sia trasformato in una vera e propria relazione conflittuale, peraltro tra due personalità molto forti, a causa di un evento che sconvolse la vita del Collegio e quasi fece temere che l’antica istituzione fondata da san Carlo – cambiata forzatamente pelle nell’emergenza del primo conflitto mondiale – non potesse più tornare a essere se stessa. Si passò, infatti, nel giro di pochi anni da un normale rapporto, presumibilmente a distanza, tra “rettori” di ambiti e formazione diversi (l’uno dell’Università di Pavia, l’altro del Borromeo; l’uno grande scienziato, senatore del Regno, laico, l’altro umanista, erudito locale, sacerdote) a un logorante e aspro testa a testa tra chi difendeva l’autonomia amministrativa e gli specifici scopi formativi del Collegio e chi, invece, vi vedeva la cornice ideale (oggi si direbbe la “location”) per un’attività clinica specialistica dalla durata potenzialmente indefinita. Un mutamento di posizioni innescato da una situazione eccezionale: la requisizione dell’intero palazzo da parte dell’autorità militare nel 1915 per impiantarvi un ospedale destinato ai malati e feriti di guerra posto sotto la direzione sanitaria di Golgi e dei suoi più stretti collaboratori.¹

L’evoluzione da neutralità a forte criticità si può schematizzare attraverso alcuni isolati riferimenti archivistici. 
17 marzo 1907: in una lettera al Patrono (Emilio Borromeo) Maiocchi chiede di poter aderire a un’iniziativa di raccolta fondi per una borsa di studio istituita dal Magnifico Rettore Golgi, naturalmente in ragione delle possibilità finanziarie del Collegio, ma anche in termini di accorta politica istituzionale:

Desidererei che Ella con sua lettera mi concedesse di partecipare, a nome del Collegio, alle offerte che si fanno in onore del Senatore Golgi Rettore dell’Università, per la istituzione di una borsa di studio. Tutti gli istituti di Pavia hanno preso parte alla dimostrazione, e la assenza ed astensione del nostro Almo Collegio sarebbe troppo notata e assumerebbe quasi una significazione che noi non abbiamo nemmeno in mente. D’altronde trattandosi di una istituzione a vantaggio dell’Università è bene che il Collegio non se ne disinteressi, e per di più penso che l’atto di omaggio che colla sua offerta il Collegio rende al Rettore dell’Università può sempre tornare utile e vantaggioso al Collegio per i suoi rapporti continui coll’autorità scolastica. Ieri l’amministrazione del Regio Collegio Ghislieri radunatasi allo scopo, deliberava di offrire per la borsa di studio Golgi la somma di Lire mille, a quanto mi si dice. Il nostro collegio non ha i sette milioni del Ghislieri e quindi la sua offerta deve essere più modesta. Credo che un somma fra le 200 e le 300 lire potrebbe convenire per noi. Io starò quindi in attesa di un suo cenno venerato prima di far cosa alcuna.

Il 21 marzo il rettore ringrazia il Patrono per aver concesso l’autorizzazione alla spesa per l’iniziativa, che ha avuto come esito un “ritorno d’immagine” molto positivo per il Collegio:

Ho subito provveduto pel pagamento delle lire 500 all’Università per la borsa di studio Golgi e la notizia pubblicata subito dai giornali ha prodotto impressione graditissima in città. Anche di ciò sono gratissimo a lei che col suo tratto opportunissimo di generosità ha circondato il Collegio di una simpatica aureola di compiacenza e di stima.

È del 22 marzo 1909 il pronunciamento equilibrato e non improntato a severità del Rettore Golgi in merito a un caso di intervento disciplinare nei confronti di un alunno del Borromeo coinvolto in alcuni disordini studenteschi:

[…] il Consiglio Accademico, nella sua adunanza del 17 marzo corrente, avendo dovuto riprendere in esame il rapporto riguardante la partecipazione dello studente Cappelli alla dimostrazione per la anticipazione delle vacanze di Carnevale, ha deliberato che allo stesso signor Cappelli sia applicata la più lieve misura disciplinare contemplata dal regolamento universitario, vale a dire la semplice ammonizione verbale. Nel fare tale partecipazione, esprimo il mio avviso che non sia più il caso di ulteriori provvedimenti, tanto più che si tratta di un giovane stimato e studioso.

Di fronte alla serena normalità di queste relazioni istituzionali spicca con tanto maggiore e corrusca evidenza il deteriorarsi dei rapporti a un decennio di distanza e, soprattutto, dopo cinque anni di “convivenza forzata” nella gestione dell’Ospedale Militare Borromeo; deterioramento accelerato ed esacerbato dall’indisponibilità dell’autorità militare e della direzione sanitaria a sgomberare l’edificio e a lasciare che il Collegio ritorni progressivamente alle proprie funzioni a guerra ormai da tempo conclusa. Due lettere di Rodolfo Maiocchi datate 29 e 30 marzo 1919 e indirizzate rispettivamente all’avvocato Langscedel (che segue la controversia tra Collegio e Autorità Militare) e alla Direzione degli ospedali militari di Pavia rendono efficacemente e drammaticamente la misura dell’esasperazione raggiunta per quella che appare ormai un’ingiustificata e insostenibile occupazione.
Diamo qualche stralcio della prima lettera, molto lunga:

[…] anche al Ministero della Guerra si sono portate delle falsità da chi ha interesse a tener occupato il nostro collegio. Anche noi conveniamo che “non è opportuno l’interrompere ora le cure iniziate” ma quando davvero si tratti di “gravi e delicate lesioni del sistema nervoso”, non di cure a un dito della mano, non di ischialgie, non di esami radioscopici, ecc. ecc. […] Per ciò che si riferisce poi alla cura elettrica non spetta a noi dire se proprio a Pavia sia indispensabile quella che si pratica al reparto Borromeo, mentre c’è un istituto clinico di assai più autorevole fama scientifica e di gran lunga meglio provvisto macchinario e da assai maggior tempo funzionante in Pavia. Ne consegue che il Collegio Borromeo non può essere restituito alla sua funzione normale, non per le ragioni insussistenti riferite al sottosegretario di Stato, bensì per i motivi inconfessabili che tutta la città conosce, ma che non sono noti al Ministero della Guerra. Il Sottosegretario di Stato dice che l’Autorità Militare deve procedere certamente nel ridonare ai loro proprietari i locali superflui quando si tratti di servizi tecnici specializzati “sia per non interrompere cure in corso, sia per evitare trasportando altrove i servizi impiantati, ulteriori spese all’Erario”. […] Sarebbe indiscrezione far notare che per evitare all’Erario ulteriori spese per impiantare altrove i servizi impiantati, si arrischia di correre in spese gravissime per le riparazioni di un palazzo che è monumento nazionale e che attualmente è in mano ai vandali? Non potrebbe denunziarsi al Ministero della Guerra la assoluta incuria per la parte disciplinare di chi presiede a questo Reparto, così che solo in questi ultimi giorni si devono lamentare guasti alle volte per disperdimenti di acqua, guasti alle opere protettrici delle parti ornamentali del palazzo, guasti a cancelli di ferro battuto del 600, guasti ai canali di displuvio, guasti ai marmorei plinti delle colonne, guasti agli ornamenti di marmo del grande cortile, senza notare il deturpamento dei grandiosi affreschi del Nebbia e dello Zuccari? Ci pare che le spese per queste riparazioni (là dove le riparazioni saranno ancora possibili) siano ben più gravi che non quelle pel trasloco di poche macchinette da tavolino. Il sottosegretario ci assicura che la occupazione del Collegio Borromeo non durerà “oltre il tempo indispensabile”: pare il responso della Sibilla. Chi giudica quanto sia il tempo indispensabile? Siamo dunque sempre ancora in balia di Golgi il quale è del parere che la occupazione potrà prolungarsi anche per due o tre anni. […]

La seconda lettera ribadisce con vis polemica il fatto che l’Ospedale Borromeo non venga più inteso quale reparto di cura speciale per una certa categoria di degenti, ma come luogo di ricovero indiscriminato per ogni genere di malati e che non se ne preveda lo sgombero più volte invocato:

[…] al Borromeo vengono quotidianamente mandati degenti da qualsiasi reparto, così che, tanto per tener occupato il nostro palazzo, si dimentica il famoso Centro Neurologico qui impiantato e vi si ospitano volentieri persone affette da qualsiasi malattia che nulla ha a che fare con la specialità del centro. […] E ciò proprio nel momento in cui si chiudono gli altri spedali della nostra città, e il principe Borromeo richiede insistentemente lo sgombero del proprio palazzo per iniziare i lunghi restauri necessari a riaccogliere i convittori del collegio a novembre. […]

Traspare l’idea che si stia adottando per il Collegio Borromeo un trattamento diverso rispetto a quello delle altre strutture utilizzate come ospedali ausiliari durante la guerra, in diretto contrasto con l’esigenza di ripristinarne la funzionalità e connessa agibilità. Ovviamente ogni documento va contestualizzato e le carte ‘parlano da sole’ fino a un certo punto, tuttavia l’insostenibilità della situazione di stallo di un’istituzione che si sente ormai ostaggio di logiche diverse dalle proprie si manifesta con pari evidenza anche attraverso la testimonianza resa da un altro punto di vista: quello degli Alunni, cui era impossibile da mesi il rientro in Collegio. Una lettera inviata ai giornali nel marzo 1919 firmata da otto collegiali, tra i quali spicca il nome di Galileo Vercesi (uno dei “martiri di Fossoli” nel secondo conflitto mondiale), fotografa bene il clima di disagio:

Non appena firmato l’armistizio noi studenti dell’Almo Collegio Borromeo abbiamo chiesto alla direzione del Collegio stesso di essere riammessi a continuare gli studi interrotti dalla guerra, non appena le condizioni dell’edificio lo avessero permesso ed avessimo potuto esser liberi dal servizio militare. Ne ebbimo espliciti affidamenti. Purtroppo però, mentre i soldati studenti hanno avuto una licenza di sei mesi per frequentare le università, i battenti del Collegio sono ancora chiusi per i convittori, perché i locali sono tuttora occupati dall’Ospedale militare. Ci venne offerta una borsa di studio che noi naturalmente non abbiamo rifiutato, ma non possiamo tacere che il beneficio a cui abbiamo mirato ricorrendo ai collegi universitari è essenzialmente di rimanere in un ambiente atto agli studi e non alla mercé di albergatori e di affittacamere. Ora che dopo cinque mesi dall’armistizio non si siano ancora potuti sgombrare dei locali destinati a così proficui sussidi scolastici universitari mentre sono tornati alle loro funzioni altri Collegi Universitari, tante scuole elementari e perfino tanti Asili Infantili, non si comprende. Non intendiamo con ciò di fare un appunto di non curanza alla Direzione del Collegio, ma ci sembra che a nessuno può sfuggire l’attuale aspetto di caserma e non di ospedale, in quegli ambienti, e che perciò non possono essere ragioni sanitarie quelle che esigono la continua occupazione. Forse una parola di sveglia alla Autorità Militare ci pare potrebbe essere sufficiente a troncare uno stato di cose che non ha più ragione di essere. E preghiamo codesta Onorevole Direzione di non giudicarci troppo esigenti e troppo impazienti, tanto più che è in grado di sapere meglio di noi quante difficoltà s’incontrano in questa città dove anche oggi non ci fu possibile trovare una decente camera ammobiliata e dove i prezzi per il vitto sono sbalorditivi. 

Il Collegio fu costretto a muovere ogni pedina politica e giudiziaria per giungere allo sgombero sospirato; il Rettore Maiocchi ci rimise la salute, ma poté vedere compiersi il trasloco entro la fine dell’anno corrente; i lunghi lavori di ristrutturazione dell’edificio furono intrapresi nei primi mesi del 1920 sotto il rettorato di Leopoldo Riboldi e a maggio gli alunni poterono finalmente tornare in Borromeo.

¹ Su questo tema si vedano i documenti in progressiva pubblicazione su questo sito relativi ai 5 anni di occupazione militare del Collegio e alcuni recenti interventi: C. Z. Laskaris, Rodolfo Maiocchi e il Collegio Borromeo attraverso le carte d’archivio, in “Non del tutto vana sarà la nostra fatica” Rodolfo Maiocchi (1862-1924) sacerdote, studioso, rettore, atti del convegno, Pavia, 22 novembre 2013, «Bollettino della Società pavese di storia patria», CXIV, 2014, pp. 101-119; P. Mazzarello – G. G. Mellerio, L’ospedale militare “Collegio Borromeo” diretto da Camillo Golgi, «Bollettino della Società pavese di storia patria», CXV, 2015, pp. 49-71.

CZLaskaris