Il Collegio Borromeo ospedale militare nella Seconda Guerra Mondiale (2a puntata)
Le tracce scritte lasciate da Cesare Angelini tra le carte d’archivio del periodo di trasformazione del Collegio Borromeo in ospedale militare, dal 1941 al 1945, non sono molte: consistono in una manciata di lettere e in alcune annotazioni sui registri degli alunni. La diversa tipologia e destinazione dei testi ne determina il tono.
Le lettere hanno un sapore di aneddoto, che oggi può perfino strappare un sorriso, come quando il Rettore l’8 agosto 1942 denuncia al Colonnello Direttore dell’Ospedale dapprima la razzia di frutti dal giardino – Giorni fa, il mio ortolano mi aveva avvertito che i militari, girando nel prato oramai messo a loro disposizione, avevano spogliato alcune piante di pere e di mele. Non ho detto nulla perché, si sa, è roba che fa gola ai ragazzi, specialmente quand’è estate e si ha sete –, poi la sparizione di «due belle lingue di rame, scanalate, che ornavano le bocche dei “due mascheroni” della fontana, accompagnando l’acqua a scendere nella vasca». Non potendo far altro che «pensare che siano stati i vostri “militari” a far questo guaio e guasto», prega «di far moltiplicare la vigilanza o di proibire che vadan nel prato non certo requisito per i loro svaghi» e conclude: M’affretto a denunciare il fatto, sia perché io continuo ad essere il custode delle cose del Collegio, sia perché non vorrei si ripetesse in cose d’anche maggior valore.
Ma appena un mese dopo, il 12 settembre 1942, il Rettore deve comunicare all’Amministrazione del Collegio un nuovo atto vandalico, questa volta ai danni dell’antico orologio: La notte sull’otto corrente settembre, ed esattamente verso le ore 22, l’orologio del Collegio cessò di scorrere le ore. Il fatto fu notato dal sottoscritto e dal portiere Paolino, che l’aveva caricato due ore prima. All’indomani mattina il portiere, salito al solaio dell’orologio per controllare la cosa, ne trovò spalancata la porta della gabbia, solitamente chiusa con catenaccio; e il grosso pendolo, staccato con violenza, a terra. Il malfattore era salito all’orologio, scassinando la serratura dell’uscio sempre chiuso che mette sul solaio dal lato vicolo. Del fatto fu subito avvertito il Signor Colonnello prof. Rigobello, che sta facendo ora ricerche per individuare il colpevole tra il personale dell’Ospedale.
La puntigliosità burocratica tradisce l’insofferenza per le tante piccole e grandi contrarietà e occasioni di disagio quotidiane, come nel breve messaggio del 10 dicembre 1943: Comunico che col giorno 7 dicembre il Sig. Colonnello Tenca, direttore dell’Ospedale “Collegio Borromeo” ha fatto raddoppiare la forza elettrica dello scaldabagno, per avere acqua calda a tutte le ore nel suo bagno. Anche la minutissima banalità dei fatti dà l’idea di quale dovesse essere la condizione del Rettore: assediato in casa propria, senza libertà d’azione, confinato in un Borromeo da altri occupato e gestito per scopi lontani da quelli educativi e culturali.
È probabilmente dello stesso periodo la cartolina (con veduta borromaica) che Angelini spedisce a Luisa Bianchi (ringrazio Fabio Maggi, curatore dell’Archivio “Cesare Angelini”, per aver messo a disposizione questo interessante documento). Dalle prime righe si deduce l’impatto devastante dell’ospedale che entra in funzione: La “marcia sul Collegio” oramai è avvenuta. E domattina, alle 4, arriva il treno-ospedale con 300 feriti-malati di Croazia (pare). Pace. L’asprezza si addolcisce nella chiusa: Anche a Pavia la luce è bella; luce di settembre in vista. Mi saluti tutta la cara colonia. A.
Proprio a proposito di treni, il 21 luglio 1942, in risposta alla richiesta del Rettore e del C.d.A. di «impiegare il salone refettorio “solo in caso di necessità” di tutta la disponibilità del Collegio», il Maggiore Generale Celestino Gozzi, a capo della Direzione di Sanità Militare della Difesa Territoriale di Milano, aveva fatto presente che «se per iniziare il funzionamento dell’ospedale arriverà costà un treno, molto probabilmente l’occupazione stessa [del refettorio] si renderà necessaria» e occorrerà «predisporre la protezione necessaria per gli schienali» per evitare danni (i tavoli cinquecenteschi erano già stati rimossi).
All’occasionalità pragmatica delle comunicazioni da ufficio a ufficio fa da contrappunto l’incisività epigrafica delle note sui registri del Rettore, nate dall’esigenza tutta soggettiva di inserire un segno personale e mai sbrigativo nell’accurata registrazione delle carriere universitarie degli alunni. Come in questi due esempi.
Il primo è relativo a un “alunno mancato”, Enrico Magenes (presentatosi al concorso del 1941), la cui eccezionalità reclama una nota di ammirato aggiornamento biografico: Rinuncia al posto in Collegio, avendo vinto un posto alla Scuola Normale di Pisa, ove si iscrive alla facoltà di Fisica, come conviene nella città di Galileo. Riuscito primo di tanti concorrenti. * Frequenta la “Normale” * Nell’ottobre del 1943, scoperta la sua attività in favore dei “partigiani” è imprigionato. Più tardi, mandato in campi di concentramento in Germania. Torna a Pavia il 24 luglio 1945. Questo giovane singolare merita questa nota e maggiore attenzione. Laureato nel 1947 alla Normale di Pisa – sempre primo fra i primi.
Il secondo esempio è invece un aggiornamento tragico, vergato in verticale nel margine destro della pagina dedicata a Giorgio Stangalino, entrato in Collegio nel 1934 e laureatosi in Medicina nel 1940: N.B. Il dottor Stangalino (sognava di diventare medico di bordo) quasi subito dopo la Laurea, fu chiamato sotto le armi. Prima di partire mi diede la sua fotografia e volle la mia, da tenere nel portafogli. Nel 1942 fu mandato in Russia e, da notizie un po’ vaghe ricevute dalla vecchia mamma, maestra a Vigevano, e da altre persone, morì di morbo petecchiale.
Il tono delle note lasciate da Angelini sui registri in questi anni è inevitabilmente cupo, amaro, l’idea di futuro offuscata dal buio fitto del presente. Domina la sollecitudine per le vicende degli alunni strappati dalla protezione fisica del Collegio: da un lato, quelli ospitati presso il Ghislieri o costretti a procurarsi un posto dove vivere presso parenti e conoscenti o altre famiglie e pensioni private, supportati economicamente dal Collegio con crescenti sussidi; dall’altro, coloro che sono materialmente risucchiati nel gorgo della guerra, combattendo anche su versanti opposti.
Scrive il Rettore in chiusura del registro più vecchio (anni 1928-1942): Il disordine che si trova nella registrazione dei voti dal 42 in avanti, dipende dal servizio militare dei nostri Alunni, sbalestrati tra Collegio e pensioni clandestine, tra Italia e Germania. E in apertura del nuovo (1942-1959) con l’Anno Accademico 1942-’43: Essendo il Collegio requisito come Ospedale Militare, le matricole (anche le matricole) si sono sistemate presso pensioni private, o parenti. Anche gli esami – “bello durante” – si sono dati con poco ordine, come s’è potuto; con i ritardi spiegabili; e con un po’ di confusione anche trascritti. Maiora premunt. Bombe, rifugi, servizi militari…
Più avanti: Agli Alunni, esuli dal Collegio, l’Amministrazione offre lire 700 mensili, per le spese di vitto e alloggio. A quelli sotto le armi, lire 500 ogni sessione d’esami, per le spese presso l’albergo. Il 29 aprile del 43, muore il prof. Ciapessoni, rettore del Coll. Ghislieri, che quest’anno ha generosamente accolto gran parte dei Borromaici.
Le annotazioni non sono fissate di getto, ma distillate dalla memoria; nel ritmo frammentato si intuisce l’aggravarsi della situazione: Anni di dispersione. Giorni bui. C’è passato sopra “il 25 luglio”, “l’8 settembre”, che ha visto arrivarci in casa i tedeschi. Date storiche. Giudicherà la storia. Intanto, “la guerra continua…”. Anno repubblichino – tedesco … Dov’è l’italia? Dove sono gli Italiani? Abyssus abyssum invocat…
L’Anno Accademico 1944-’45 si apre nel peggiore dei modi per il Collegio: Interrompendo un’antica tradizione, quest’anno non si fa il concorso. Nessuna matricola. “La guerra continua…”; e il Collegio continua a essere occupato dall’Ospedale Militare. Gli Alunni – i pochi che sono a Pavia e frequentano come possono le lezioni, sono sistemati presso pensioni private, e sono assistiti dalla Amministrazione del Collegio con un assegno di lire duemila al mese. Somma decorosa, ma insufficiente al “carovita”. Lungo l’anno viene aumentata.
E alla pagina seguente: L’anno si svolge irregolarissimo: chi a casa, chi alle armi, chi coi partigiani. Ore tragiche, giorni bui. Dominus det nobis suam pacem.
Il senso finale di sfiancamento e scoramento – È l’anno del “25 aprile”. Si dice “della Liberazione”. E l’Italia che prima era corsa dai Tedeschi, ora è corsa dagli Alleati –sembra bilanciato dalla contabilità normalizzante dei sussidi e degli esami: Il Collegio, a tutti gli studenti-alunni, che provano d’aver dato qualche esame nella sessione estiva, corrisponde le due mensilità di giugno-luglio, pari a lire quattromila. Le votazioni sono spesso segnate con qualche irregolarità (posticipi di date) per la difficoltà del comunicare le votazioni in tempo. S’incontra, nelle votazioni, qualche voto al di sotto del 24; è vero. Il Consiglio d’Amministrazione, tenuto conto delle condizioni in cui si trovano i nostri alunni, tien buono (per il posto in Collegio) anche il 18.
Ciò che conta è tenere insieme questo tessuto prezioso, qua e là strappato, di giovani esistenze, che sono la vera anima e ragion d’essere del Collegio. E tentare di non dimenticare. Tra le rovine, materiali e spirituali, lasciate dalla guerra e dall’occupazione, è affidato alla pietas cristiana il compito di fare memoria del sacrificio di tante vite: Tra il maggio e il giugno [1945], nella Cappella interna del Collegio, Mons. Vescovo ha celebrato tre messe: una, in suffragio del prof. Enrico Vaccari, figlio del nostro Presidente, morto sul Serio, combattendo contro i tedeschi, nel marzo 1945; un’altra per il dott. Teresio Olivelli, rettore del Collegio Ghislieri, morto in campo di concentramento a Ersbruk; la terza per l’avv. Galileo Vercesi, vittima di Fossoli; e già 1914-15.