1631, dopo Federico: un’eredità delicata

Il patronato di passaggio tra Carlo III e Giberto II Borromeo

Con la morte di Federico Borromeo il 21 settembre 1631 il Collegio si trova senza il suo primo patronus et administrator, che aveva concretamente plasmato e conferito fisionomia definitiva all’istituzione voluta e fondata da san Carlo, seguendone e sviluppandone le direttive e gli obiettivi attraverso un accorto lavoro di sistematizzazione normativa (ciò che, in modo molto più amplificato e articolato, Federico si preoccupa di fare per la Diocesi di Milano attraverso la pubblicazione dei acta-ecclesiae-frontmonumentali Acta Ecclesiae Mediolanensis). Dal lavoro di revisione e approfondimento nascono, infatti, le Costituzioni del Collegio, integrate fino alla loro versione definitiva (ratificata nel 1610) da decreti speciali emanati da Federico per intervenire, soprattutto, sulla regolamentazione disciplinare della comunità di alunni. Il suo è un lungo patronato, dal 1584 al 1631, che di fatto non semplicemente continua, ma porta realmente a compimento l’iniziativa caroliana sui vari fronti amministrativo, gestionale e anche strutturale: il completamento architettonico del palazzo, la realizzazione del giardino recintato e la magnifica decorazione affrescata del Salone si hanno infatti con lui come committente illuminato. Alla sua morte, allora, non possono non emergere preoccupazioni immediate in chi ha il compito, in base alle indicazioni statutarie del Collegio, di prenderne il testimone.
L’erede designato in linea di successione e in quanto destinato alla carriera ecclesiastica è il giovane clericus Giberto II, figlio del nipote di Federico, Carlo III Borromeo, sarà però quest’ultimo a prendere concretamente le redini del Collegio, in attesa che Giberto raggiunga la maggiore età. 
Si profila, dunque, un momento di passaggio istituzionale piuttosto delicato, sebbene previsto (Carlo e Giberto risultano, infatti, alloggiati in Collegio con i propri servitori il 15 settembre 1631 e investiti dell’amministrazione perpetua con atto notarile il 20 settembre), in cui un Patrono pro tempore dovrà fare le veci di quello legittimo. 

fotocopiatorecollegioborromeo-eu_20161027_104318_022Entro la fine del mese di ottobre vengono corrette per la stampa le matrici della Nota delle cose necessarie per quelli, sono per essere accettati nell’Almo Collegio Borromeo di Pavia e della “patente di ingresso” (l’attestato relativo al singolo alunno), in modo che riportino il nome del nuovo Administrator Giberto.fotocopiatorecollegioborromeo-eu_20161027_104318_014

Carlo, d’altro canto, prende molto seriamente e attivamente il nuovo incarico fin dall’inizio, ben consapevole del fatto che l’amministrazione del Collegio richiede impegno e non di poco conto, soprattutto in un’epoca tanto travagliata, con il territorio lombardo fustigato dalla peste e dalla guerra. Instaura, perciò, immediatamente un rapporto epistolare fittissimo (quasi ‘abnorme’ per lunghezza e frequenza delle lettere) con il Rettore Giovan Pietro Greggio, stabilendo anche una modalità grafica (in verità non sempre agevolissima da seguire nella ricostruzione archivistica e cronologica delle serie epistolari) di “botta e risposta” sulle varie questioni per punti numerati, per cui sul medesimo foglio, piegato in metà, si trovano da un lato le “battute” del Patrono dall’altro quelle del Rettore.
Nel solo mese di novembre del 1631 si susseguono a ritmo serrato molte di queste missive (evidentemente necessarie per prendere le misure), in un via vai di corrieri tra Pavia e Arona, dove Carlo risiede. Gli argomenti sono i più diversi: dai timori di contagio per chi provenga da Lodi alle questioni legate a temi disciplinari anche spiccioli (per esempio la «difficoltà nel tagliar li capelli [degli alunni] in forma condecente»), dalla nomina di un nuovo Vicerettore a quella dell’Agente del Collegio (figura chiave per l’amministrazione delle varie possessioni), dal fatto che gli alunni non possano recarsi senza rischi, dati i «tempi piovosi» e le strade malagevoli, fino ad Arona per presentarsi al Patrono, come erano tenuti a fare a inizio anno, al pensiero che «il Collegio resti provisto di tutto quello che conviene per comodo delli scholari» grazie al buon funzionamento delle cascine. 

mx-m565n_20160728_145943_012Ma la preoccupazione massima è per la trasmissione agli alunni di un segnale chiaro di continuità e solidità istituzionale, alla quale il Rettore deve provvedere continuando a vigilare in modo intransigente sul rispetto delle Costituzioni e adoperandosi, anche tramite dichiarazioni lette in pubblico (cfr. lettera 1 novembre 1631, firmata da Carlo e Giberto)

vogliamo omninamente che tutto quello che è stato ordinato per servitio delli suddetti Alunni tanto nelle constitutioni del Santo, come dall’hora in qua, sii puntualmente essequito et perché li stessi Alumni che sono di presente et che veneranno per l’avvenire non possino pretendere ignoranza di questa nostra rissoluta voluntà ordiniamo a lei che la facci leggere in publico conforme li bisogni

a ribadire l’autorità del Patrono, che non intende tollerare da parte di nessuno atteggiamenti arroganti o esibizioni di amicizie altolocate, come Carlo precisa al punto 4 della lettera del 15 novembre:

mx-m565n_20160728_150543_013Signor Rettore […] lei si racordi che bisogna levare quella confidenza che qualche scholaro si puotesse pigliare, intendendo che l’Administratore è giovinetto de sedeci anni de dolcissimi et buonissimi costummi, con qualche imaginatione ancora che qualsivoglia scholaro c’haurà qualche buon mezzo de Principi, Cardinali, o altri simili che si puotranno far leciti di fare qualche scappata, perché con li loro Protettori sarano sempre a tempo a rimediarci. Perciò è necessarissimo a dare ad intendere a lettere cubitali – Che li scholari presenti e futuri hanno a che fare con un Administratore di giuditio senile et retissimo – Che li mezzi de signori Cardinali et Prencipi saranno sofferti per impetrarli la gratia dell’ingresso ma che il mantenerci il beneficio dell’essere Alunno di cotesto nostro collegio ha da essere li buoni diporti esatti et uniformi alla constitutione et ordini del Rettore, quale sicome ha la voluntà dell’Administratore, la cui authorità è ad egli arbitraria in tutto, così alli detti scholari non le puotrà mai giovare altro che li buoni diporti. 

È un mettere in evidenza la propria autorità e quella del figlio nell’assunzione del ruolo patronale, tanto nell’immediato quanto per il futuro. E anche un segno di attaccamento reale a un istituto sentito come integralmente connesso alla propria dignità personale e dinastica e all’identità familiare: in una lettera del 22 dicembre 1631 Carlo scrive al Rettore

non posso né voglio soffrire che scholari forastieri usino manco rispetto a questo Collegio, ministri et altre cose sue, di quello è fatto alla mia propria Casa et persona.

CZLaskaris