Aprile 2007: un papa in Borromeo
Presenze di pontefici, tra lapidi, immagini e carte d’archivio
Dieci anni fa, in una bella domenica di aprile (il 22) del 2007, papa Benedetto XVI faceva il suo ingresso a bordo della “papamobile” nel giardino ottocentesco del Collegio, passando per il grande cancello, eccezionalmente aperto sulla piazza; un breve itinerario lo avrebbe portato fino alla spianata degli Orti Borromaici, dove lo attendeva l’ordinata folla di fedeli giunti da tutta la diocesi e il grande palco appositamente allestito per ospitare il pontefice e gli altri sacerdoti durante la celebrazione della Messa all’aperto. Si è trattato di un momento di grande emozione, un abbraccio ideale che dal verde parco in riva al Ticino si proiettava sulla città intera; il coronamento liturgico di un viaggio che il papa compiva per rinnovare il contatto diretto con la figura di S. Agostino, ispiratrice e centrale nella sua riflessione teologica e spirituale.
Si trattò, anche, del frutto di un enorme impegno organizzativo guidato dal Rettore Ernesto Maggi e testimoniato in un libro fotografico che ne ripercorre le tappe, dal primo annuncio del viaggio all’incontro con il Santo Padre. Una lapide sul margine meridionale dell’edificio ricorda quella data così importante ed emozionante. Ma non unica.
Un altro papa (ora santo) aveva già incontrato poco più di vent’anni prima la città intera e la comunità borromaica, anche in questo caso muovendosi sulle orme di un illustre ispiratore. Era il 4 novembre 1984: Giovanni Paolo II fece coincidere le celebrazioni per il quarto centenario dalla morte di S. Carlo Borromeo con la visita a Pavia e in particolare a quel luogo, che incarna il progetto educativo, pedagogico e spirituale di Carlo, il suo impegno per la società e per i giovani, la sua modernità e lungimiranza riformatrice. La lapide murata vicino all’ingresso della cappella del Collegio e ornata dalla medaglia bronzea dello scultore Angelo Grilli ricorda questo momento epocale (illustrato passo per passo in un altro volume fotografico), durante il quale a fare gli onori di casa fu il Rettore don Angelo Comini.
Messe a confronto su un piano di pura suggestione visiva, le due visite papali costituiscono quasi l’una il complemento dell’altra: la prima, novembrina, raccolta dentro il profilo architettonico del Collegio, come un cuore pulsante contenuto nel doppio registro dei loggiati monumentali; la seconda, primaverile, tutta spalancata all’esterno, verso un orizzonte più vasto. Immagini dell’idea (quella di Carlo, quella di Agostino) di un sapere che si coltiva con amorevole cura sui libri per poi lasciarlo correre e respirare con ampiezza nell’esperienza del mondo e fruttificare altrove.
Oltre questi due eccezionali contatti diretti, il Collegio conserva altre memorie e tracce materiali di rapporti con figure di papi, già in carica o “futuri”…
Se proviamo ad andare rapidamente a ritroso nel tempo, snocciolando date e nomi, troviamo nel settembre 1972 l’udienza dei borromaici accompagnati dal Rettore Comini da Paolo VI: ideale compimento della visita che il cardinal Montini, da successore di Carlo e di Federico Borromeo sulla cattedra arcivescovile di Milano, aveva fatto al Collegio, accolto allora da mons. Cesare Angelini, in un’altra data significativa: il 1961, a 400 anni dalla fondazione.
In quell’occasione giunse al Borromeo anche il messaggio partecipe e affettuoso di un altro papa poi santo, Giovanni XXIII, che troviamo riprodotto a colori in apertura del volume celebrativo edito quello stesso anno (I quattro secoli del Collegio Borromeo di Pavia. Studi di storia e d’arte pubblicati nel IV centenario della fondazione 1561-1961).
Siamo ora alle soglie del XX secolo, un nuovo Rettore si affaccia dall’ottobre 1905 alla guida del Borromeo: mons. Rodolfo Maiocchi, erudito, storico, esperto d’arte e di documenti d’archivio, frequentatore assiduo della Biblioteca Ambrosiana. L’illustre istituzione fondata da Federico Borromeo e fino al 1909 legata al Collegio per le attività “concorsuali”, di valutazione e selezione degli aspiranti alunni, in quegli anni ha come Prefetto Achille Ratti, che salirà al soglio pontificio nel 1922 con il nome di Pio XI. L’archivio del Collegio conserva alcune lettere di Maiocchi a lui e altre sue, dalle quali spira una vicendevole familiarità, indirizzate a Emilio Borromeo (patrono di entrambe le “istituzioni gemelle”), relative a possibili candidati al ruolo di Rettore. Tra queste una del 7 ottobre 1905, a nomina già avvenuta:
Fu qui per una ricerca di biblioteca il Dott. Majocchi, e il nuovo Rettore mi parve contento di esserlo. Speriamo che anche l’avvenire lo mostri all’opera l’uomo che ci voleva.
Il tempo confermerà la bontà della scelta.
Rimanendo nel rettorato Maiocchi, il 1915 è un anno drammatico per l’Italia, con l’affacciarsi minaccioso della guerra, ed è anche l’inizio di un periodo piuttosto complicato per il Collegio, che viene patriotticamente concesso dalla famiglia Borromeo all’Autorità militare, perché vi impianti un ospedale per i soldati. Le parole benedicenti di papa Benedetto XV, vergate in calce alla sua fotografia in bianco e nero, indirizzate nel settembre di quell’anno al Patrono suonano come un incoraggiamento, nel ricordare la missione caritatevole ed educativa dell’antica istituzione caroliana:
Il Signore benedica il Conte Giberto Borromeo e tutti colori che lo coadiuvano nell’opera di carità per la quale il “Collegio universitario” fondato da San Carlo Borromeo in Pavia diventa ogni giorno più stimabile e benemerito.
Andando ancora più indietro nel tempo, superando d’un balzo un paio di secoli di storia, si incontrano le tracce di altri pontefici, i cui pronunciamenti in documenti ufficiali costituirono tasselli fondamentali per la vita e l’assetto istituzionale del Collegio.
È datato 25 febbraio 1673 il breve con cui Clemente X concede «a’ Padri Teatini D. Andrea, D. Federico e D. Massimo Borromei l’amministrazione del Collegio», che si inserisce in una controversia per la successione al patronato del Collegio seguita alla morte prematura di Federico V Borromeo. Nonostante questo documento potesse ratificare l’iniziale presa di possesso per anzianità da parte di Andrea (fratello di Federico), il fatto che egli fosse frate teatino e non cardinale porta a un trasferimento dei poteri al legittimo erede, il conte Renato, suo cugino del ramo primogenito, che diviene così il primo Patrono laico del Collegio. La composizione della vicenda si basava, d’altronde, su quanto stabilito nel breve di Urbano VIII del 22 maggio 1626, ancora vivente il primo Patrono del Collegio Federico Borromeo, che regolava la successione nel ruolo di administrator all’interno della famiglia, escludendone i regolari non cardinali. Documento importante del quale l’Archivio conserva sia l’esemplare manoscritto, sia varie copie a stampa.
Sempre a Federico Borromeo e alla sua fondamentale e accurata opera di attuazione ed espressione statutaria dei principi del cugino e santo fondatore sono legati gli atti pontifici che scandiscono le fasi redazionali delle Constitutiones del Collegio, dalla versione del 1587, approvata da Sisto V, a quella definitiva del 1610, ratificata da Paolo V.
A un ultimo papa, però, si deve materialmente la realizzazione del progetto di Carlo.
Esposta e protetta sotto una pesante lastra di vetro, la bolla con il sigillo papale di Pio IV fissa al 15 ottobre 1561 l’atto fondativo del Collegio pavese. Nel Salone degli Affreschi l’effigie del pontefice – al secolo Giovanni Angelo Medici, zio materno di Carlo – ritorna due volte: al centro della grande scena corale dipinta sulla parete sud da Federico Zuccari nel 1604, in cui è colto nell’atto solenne di imporre sul capo del nipote inginocchiato il galero cardinalizio; in uno degli imponenti quadroni appesi lungo le pareti della sala (opera nel 1672 del pittore pavese Agostino Santagostino), dove è ritratto a figura intera, assiso su un seggio dall’alto schienale rivestito di velluto cremisi. Il suo stemma compare più volte nell’edificio del Collegio: scolpito sopra il portale d’accesso al Refettorio, affrescato in uno degli angoli della volta del Salone e su una delle pareti della Cappella dipinte a finta tappezzeria nel 1909.
Segni evidenti della memoria mai estinta di colui che disse il primo e convinto “sì” all’ambizioso progetto del giovane nipote cardinale.
CZLaskaris