Per essere somigliante, l’identikit del “borromaico medio” non può fare a meno di un dettaglio: l’affezione per i libri. Attrazione per la pagina scritta, per l’oggetto-libro, nella sua fisicità invadente; per la parola, per le parole che avvolgono le ore quotidiane (studio, lezione, gioco, battuta, dibattito, dialogo, monologo, tifo sportivo).

Un po’ per via di tradizione, un po’ per abitudine scolastica e poi per consuetudine universitaria, un po’ per attitudine personale e felicemente condivisa, un po’ anche per suggestione “estetica” degli spazi architettonici e di quell’aria di tempo plasmato in una qualche forma che qui si respira, pile di libri vecchi e nuovi stanno di vedetta nelle stanze antiche e nuove, proteggono il sonno e sollecitano la veglia, sfogliati, macchiati, dimenticati, accarezzati, divorati, ceduti, collezionati, difesi, indifesi, donati. E i libri stanno anche a schiere nella pancia del Collegio, in certi suoi gangli, e nei possenti piedi del gran palazzo, là dove affonda nella terra, là dove tutto ha avuto inizio, proprio sotto la lunga facciata, fianco a fianco con la prima pietra.

Ma non basta. Avere consuetudine con le parole non significa solo leggerle, trascriverle o pronunciarle, ma sentirle depositarsi nel silenzio o nel chiasso, da qualche ignota parte; non udirne nemmeno il rumore leggero, come di un seme che cade nella terra, ma, ad un tratto, l’improvviso e inarrestabile crepitio del loro crescere, balzar fuori, spaccare la zolla, evocare il germoglio.
Questo rapporto, intimo e spontaneo, costruito e amorevolmente cesellato anche, fatto di cuore e di cultura, di testa e di impulso, di sapienza e impazienza e così spesso in sintonia, segreta e mobile, con la vibrante e interrogante giovinezza degli anni, con il palpito ancora elastico dell’intuizione, si traduce in scrittura. E non di rado continua ad accompagnare i passi.

fotocopiatorecollegioborromeo-eu_20160614_115801_004Ecco allora che tra i borromaici di ogni tempo ed età, da chi ne ha oltrepassato la porta che ancora non era scaduto il secolo decimosesto – come Giovan Francesco de Medici, che dedica un sonetto al Patrono nel 1599 – a chi ne varca la soglia oggi con davanti un nuovo millennio da immaginare, molti sono gli scrittori, i letterati, i poeti. Certamente molti di più di quelli per un motivo o per l’altro già noti. Alcuni nascosti, segreti, quasi pudichi, altri che lasciano affiorare nello spazio e negli anni, oltre il silenzio, con maggiore o minore urgenza e slancio, le loro parole, i pensieri, le pagine arrovellate, tra la carta e il computer.
Questa “rubrica”, se vogliamo chiamarla così, con un nome da rivista antiquata, è dedicata a loro, per dare spazio e voce ai testi, specie i meno conosciuti o gli inediti (si accolgono pertanto segnalazioni, sia per la poesia, sia per la prosa).

Si comincia con due giovani alunni: Elena Paralovo e Demetrio Marra, vincitori rispettivamente del primo e del secondo premio dell’edizione 2016 de “I poeti laureandi”, concorso organizzato con giurie prestigiose ormai da 13 anni da un altro collegio di questa “città di collegi”, il Santa Caterina.
Buona lettura e buona scrittura a tutti!

CZLaskaris